Un libro o un tesoro?

Bianco. Bianco ottico, o forse bianco sporco. Caldo o freddo. Non capisco. Eppure passo intere giornate all’interno di questo luogo, a fissare le sue mura adornate. Le sue volte, le sue scale, i suoi pilastri, i suoi putti che mi guardano dall’alto, forse domandandosi a che cosa io stia pensando. C’è un viavai di studenti tra i suoi corridoi: alcuni sorridono con i colleghi, altri afferrano un caffè con sguardo annoiato o forse stanco per le troppe ore passate sui libri; altri ancora sono ansiosi, le mani sudate e lo sguardo che si sposta da un punto a un altro delle aule, chiedendosi quale sorte avrà il loro esame. Quotidianità. Afferro la mia borsa, a volte appesantita dai pensieri affollati, e mi dirigo verso la biblioteca al secondo piano. Giro tra i vari settori, cercando un romanzo da leggere durante le ore buche. Analizzo tutti gli scaffali, uno per uno, sperando di trovare un barlume d’ispirazione. Mi imbatto in un vecchio libro, impolverato. Lo afferro e ne osservo la copertina di cuoio, un po’ rovinata. Mi affascina, mi attrae, non capisco il perché. Lo infilo dentro la borsa, senza guardare il titolo, senza sapere che opera sia o di cosa parli. Lo faccio e basta, senza farmi troppe domande. Infine, mi dirigo verso le scale, le fisso ancora per un po’, prima di andare via. Esco dal cancello decorato e mi dirigo alla stazione, per prendere il treno verso casa.

Decido di prendere posto nell’angolo più remoto e isolato del treno, in modo da indossare le cuffiette e dimenticare il resto del mondo. Quando i pensieri si accumulano e mi sembra di non farcela più, questo sembra quasi l’unico antidoto. Adagio la mia borsa con noncuranza sul sedile di fronte al mio ma è in questo momento, che svuoto erroneamente il contenuto di essa sul pavimento logoro del treno. Raccolgo annoiata tutti i miei effetti personali, e nel farlo, mi capita tra le mani quello strano volume marrone che avevo preso in prestito precedentemente in biblioteca. Lo ammiro, lo scruto con attenzione e finalmente decido di scoprirne i segreti. Aprendolo mi rendo conto di quanto esso sia effettivamente datato, forse anche di una cinquantina di anni addietro. La copertina rugata e le pagine ingiallite che emanano il classico odore dei libri antichi, quasi magico. Finalmente ne leggo il titolo:” Il fantasma dell’opera”. Interessante. É un’opera francese di Gaston Leroux, del 1910, o almeno questo è ciò che riporta l’intestazione del volume. Ho sentito parlare in precedenza di questo capolavoro, ma non ne ho mai analizzato con cura la trama o i temi. Un salto nel vuoto, quasi come brancolare nel buio. Chissà a cosa mi porterà la sua lettura.

Ecco però che, mentre do sfogo ai miei pensieri e alle mie solite paturnie, il treno su cui viaggio, arriva a destinazione, costringendomi a malincuore a chiudere il volume e, con esso, tutte le mie supposizioni ed i suoi misteri, ancora da svelare.

Emanuela Fichera