Siamo ormai abituati ad acquistare qualsiasi indumento vada di moda in quel momento, sia un trend o venga sfoggiato da persone di una certa influenza. Ci basta un click o semplicemente andare in uno dei tanti negozi delle grandi catene per trovare il capo che desideriamo. E sono proprio la sua immediatezza, la facilità con cui si possono trovare certi vestiti e il loro basso costo che hanno fatto diffondere il fast fashion.
‘Fast fashion’ è un termine che è stato coniato dal New York Times agli inizi degli anni ’90 per indicare il nuovo modo di produzione utilizzato da Zara, il brand spagnolo che aveva appena iniziato la sua grande espansione. La sua peculiarità era infatti quella di impiegare solo 15 giorni dal momento in cui si realizzava il design di un prodotto al momento in cui esso era disponibile nei negozi, una velocità di produzione fino a quel momento mai vista prima.
Furono quindi le nuove generazioni, i più giovani, ad usufruire di questi prodotti, in particolar modo perché si aveva a disposizione per la prima volta dei capi che riprendevano lo stile dell’alta moda, ma che erano economici e acquistabili da tutti.
Perché allora di recente si sente parlare di fast fashion solo in maniera negativa? Bisognerebbe analizzare alcuni dati e alcune sue conseguenze per dare una risposta.
Innanzitutto, le condizioni precarie sia di vita che lavorative degli operai impiegati in questa produzione. Nonostante i brand di fast fashion siano spesso di origine europea o hanno comunque sede in paesi in cui esistono dei sistemi e delle leggi a tutela dei lavoratori, la produzione manifatturiera viene quasi sempre delocalizzata. Ciò significa che gli operai impiegati, spesso anche bambini, lavorano in paesi poveri o in via di sviluppo, in cui la tutela dei lavoratori è completamente assente o minima e sono quindi soggetti a maltrattamenti, a mancanza di sicurezza, a violenze, a condizioni igienico-sanitarie pessime e a un salario misero. Questo è uno degli elementi infatti che permette alle aziende di mantenere un costo alquanto basso della merce, senza ridurre i profitti.
Una conseguenza degna di nota è sicuramente l’inquinamento provocato da questa produzione, che risulta aggravato agli occhi di una nuova sensibilità alla sostenibilità. L’inquinamento in questione non pertiene solamente alla fase produttiva in sé e per sé, ma anche allo smaltimento dei prodotti inutilizzati.
Per permettere un basso costo, si utilizzano inevitabilmente dei materiali sintetici, sottoposti a trattamenti chimici e non biodegradabili, che spesso rilasciano delle sostanze tossiche per l’ambiente o pericolose per l’uomo. Tra i vari materiali utilizzati, ricordiamo l’acrilico, il nylon e il poliestere, tutti composti da plastiche.
Ma non solo, si stima che l’emissione di CO2 sia pari al 10% di quella mondiale e la quantità di acqua sprecata rappresenti circa il 20% della percentuale totale di acqua sprecata nel mondo. Acqua che tra l’altro viene spesso scaricata illegalmente in corpi d’acqua come fiumi o mari, i quali vengono inquinati da sostanze metalliche e chimiche. Il grande danno di quest’inquinamento lo si riscontra nel fatto che quella stessa acqua è spesso utilizzata dalla gente del luogo e viene impiegata anche nell’agricoltura, producendo quindi alimenti che possono presentare tossine.
Lo smaltimento degli stessi prodotti di fast fashion può causare numerosi problemi. La bassa qualità degli indumenti porta alla riduzione del loro tempo di utilizzo e di vita, finendo per essere gettati e non più riutilizzati. Si stima che ogni anno si producono circa 92 milioni di tonnellate di rifiuti, di cui solo una minuscola percentuale risulta riciclabile. Il consumo di massa e uno shopping di tipo compulsivo sono proprio favoriti dalla durata breve dei prodotti, che rientrano sotto la connotazione di ‘fast’ non solo per la loro produzione, tanto da essere chiamati addirittura ‘moda usa e getta’.
L’esposizione a tematiche sensibili e sempre più urgenti ha fatto sì che le generazioni più giovani, nonché le più esposte al mondo di internet, siano più coscienti dei loro acquisti e ricerchino brand più sostenibili. Ma questo non risolve il problema del fast fashion, diffusosi ormai tra tutte le età e le estrazioni sociali.
Ci sono però dei modi per provare a contrastare le devastanti conseguenze appena descritte. Bisognerebbe fare attenzione alla politica di sostenibilità che un determinato marchio adotta, cercando informazioni prima di acquistare. Cercare metodi per riutilizzare vecchi capi, donarli o regalarli e di conseguenza acquistare magari indumenti di seconda mano o scambiarli con gli amici. Acquistare prodotti realizzati con materiale biodegradabile e non nocivo. Preferire in generale la qualità di un prodotto sulla quantità dei vestiti che ci riempiono l’armadio.
Elena Spampinato
