Quando si pensa ai valori fondanti della civiltà umana è inevitabile ammettere che uno di essi sia il culto dei morti. Se per Ugo Foscolo il contatto con la tomba basta a generare una corrispondenza d’amorosi sensi tale da tramandare l’illusione della sopravvivenza, per i catanesi, in questo caso, no. Se in passato per commemorare le gesta di martiri e santi si edificavano chiese e cattedrali, negli anni ’50 a Catania si ergeva la cattedrale del capitalismo.
Facciamo un passo indietro: città di origine greca (katàne), Catania ha subito i danni di diverse calamità naturali, una famosa colata lavica nel 1669 ed un devastante terremoto nel 1693 l’hanno definitivamente rasa al suolo. Per tale ragione, dopo vari interventi di ricostruzione, dal XVIII secolo in poi è possibile osservare che la sua superficie non sia altro che il più esterno degli strati che compongono il suo suolo. Una prova lampante è visibile in piazza Stesicoro, con la porzione dell’Anfiteatro Romano (inferiore per dimensioni solo al Colosseo), riportata alla luce grazie agli scavi avviati dal Principe di Biscari Ignazio Paternò Castello, le cui restanti parti fanno da fondamenta per gran parte del centro storico della città (nonché scarico fognario, ma questa è un’altra storia).
Veniamo al dunque: a poche centinaia di metri da quegli scavi, in pieno boom economico, veniva demolito un palazzo nobiliare, quello del barone Spitaleri, danneggiato dai bombardamenti, e Catania (ri)nasceva un’ennesima volta, grazie alla costruzione dell’edificio che da allora ospita i grandi magazzini della catena la Rinascente. Simbolo del benessere e del capitalismo, appunto, se non fosse che durante la realizzazione delle sue fondamenta vennero scoperti i resti di una necropoli risalente al I sec. d.C., che prontamente furono occultati da una nuova colata di cemento.
Oggi, si dice che siano ancora visibili nei sotterranei del noto centro commerciale, ma sta di fatto che non si sia agito per rendere fruibile un sito archeologico di tale importanza per la città. C’è chi narra che nemmeno gli archeologi del tempo ritenessero interessante la suddetta scoperta, tuttavia, rimane dentro di noi la curiosità di compiere una catàbasi per riappropriarci in qualche misura del passato e della memoria dei nostri avi.
Chissà se un giorno sarà proprio un’equipe di studenti dell’Università di Catania a compiere questo viaggio…
Massimiliano Milone