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Società e Attualità

Peggio di dare la vita per un’idea c’è solo scoprire che era sbagliata

«In una splendida mattina di maggio ho agito ed in quelle poche ore ho goduto a pieno della vita. Per una volta mi sono lasciato alle spalle paura e autogiustificazioni e ho sfidato l’ignoto» dichiara Alfredo Cospito in tribunale parlando del momento in cui sparò a Roberto Adinolfi, delegato di Ansaldo Nucleare.

Il discorso continua così: «Quel sette maggio del 2012 per un momento ho gettato sabbia nell’ingranaggio di questa megamacchina, per un momento ho vissuto a pieno facendo la differenza

Da quelle parole si comprende subito quanto lui stesso dice: «Sono nichilista perché vivo la mia anarchia oggi e non nell’attesa di una rivoluzione». Io credo che l’essenza di questa storia non risieda nell’ideologia anarchica, quanto piuttosto in quella nichilista.

Cospito è un nichilista che non vede un senso nella propria vita e cerca di darselo con un’azione eclatante, vuole sentirsi vivo per un solo attimo. Cerca di crearsi un’identità di martire. Per lui «fare la differenza» significa essere diverso dal nulla, essere un anti-eroe oppure un martire. Per essere diverso dal nulla è disposto a lasciarsi morire in un lungo sciopero della fame. Per dare un senso alla propria vita, la fa cessare. Una contraddizione filosofica su cui aveva già ragionato Albert Camus.

«Oggi la mamma è morta. O forse ieri, non so» dice Camus in uno degli incipit più famosi della storia della letteratura. È forse l’apice dell’annullamento della vita: vivere con l’apatia di uno spettatore estraneo a sé stesso. «Vi è solamente un problema filosofico veramente serio: quello del suicidio. Giudicare se la vita valga o non valga la pena di essere vissuta, è rispondere al quesito fondamentale della filosofia» inizia il suo altro capolavoro.

Insieme a Sartre, viene considerato il maggior esponente dell’esistenzialismo, ma in realtà Camus non se ne sente parte. Litiga con l’amico per le sue posizioni favorevoli al regime comunista sovietico, dice di essere stanco di vedere la gente morire per un ideale. Se ci sono dei libri che Alfredo Cospito dovrebbe leggere in carcere, sono proprio quelli di Camus.

Capirebbe che la sua voglia di «vivere a pieno per un momento» non è altro che «la dismisura del desiderio dell’uomo, la pretesa che il mondo sia per l’uomo (a sua immagine e somiglianza!). La tentazione ricorrente: perché vivere se non sono Dio?» (commento di Flores D’Arcais a Camus).

Cospito vuole che la sua vita finisca perché vuole che anche il mondo si esaurisca nella sua vita. È la pretesa di chi fa un attentato suicida: uccidersi pur di costringere il mondo a seguire la sua volontà. Questo non è soltanto un suicidio, ma un ‘suicidio filosofico‘: negare sé stessi e abbandonarsi totalmente ad una verità, un dio, un valore assoluto. «Chi si suicida filosoficamente non scenderà mai a patti con l’altra parte, non si lascerà mai convincere, vedendo nell’altro esclusivamente un rivale che deve necessariamente soccombere in quanto incarna il male senza possibilità di replica» riassume ottimamente il filosofo Alessandro Alfieri. Chi si fa esplodere per una guerra santa o chi fa attentati per un ideale viene accomunato dal suicidio filosofico.

La riflessione da cui non si può prescindere è che il carcere duro, il 41bis che Cospito vuole abolire facendo da martire, ha già avuto i suoi martiri: il decreto si arenò in Parlamento e ci volle il sangue di Paolo Borsellino per farlo approvare. Dopo la strage di Capaci del 23 maggio, l’8 giugno viene presentato il decreto ‘Scotti-Martelli’, ma dice Martelli: «se non ci fosse stata l’uccisione di Paolo Borsellino e della sua scorta non so se il Parlamento avrebbe mai approvato la conversione in legge del 41 bis. La strage di Capaci non era bastata.» Borsellino viene ucciso il 19 luglio, il decreto viene convertito in legge il 7 agosto.

Se mi chiedessero se il sacrificio di Falcone e Borsellino sia valso la pena, risponderei come Albert Camus: sono stanco di vedere la gente dare la vita per un ideale. Sono stanco che in Italia ci siano 200 giornalisti sotto scorta e numerosi magistrati che vivono il costante rischio di attentati. Sono stanco che ci siano più di mille vittime innocenti delle mafie. Sono stanco che abbiano perso la vita Giuseppina Savoca di 12 anni, Giuseppe Di Matteo di 14 anni, Giuseppe e Salvatore di 6 anni, Ida Castellucci di 20 anni e incinta di tre mesi, Claudio Domino di 11 anni, Giuseppe Letizia di 12 anni. Sono stanco che per l’immenso dolore si siano suicidati Rita Atria, testimone di giustizia che si tolse la vita una settimana dopo l’uccisione di Borsellino, e Giuseppe Francese che aveva dato tutto lottando per la verità sull’uccisione di suo padre Mario Francese. Sono stanco che questa lista sia interminabile, sono stanco che non avremmo tempo di nominarli tutti seppure ognuno di loro se lo meriti.

Sono stanco delle morti ingiuste e l’unico modo per evitare ulteriori ingiustizie è impedire che i boss mafiosi diano ulteriori ordini di morte. L’unico modo è il carcere duro – e persino non basta: oggi Matteo Messina Denaro elude le restrizioni avendo come avvocato la nipote. Il carcere duro non solo va mantenuto ma va aggiornato, si deve stare un passo avanti alle mafie, non un passo indietro.

Ripensare a quelle vittime non porta che a questa conclusione: è triste dare la vita per una causa giusta. Figuriamoci per una causa sbagliata, caro Alfredo Cospito. Giuseppe Letizia era un pastorello che aveva visto l’assassinio di Placido Rizzotto e fu ucciso affinché non parlasse. Con lui non hanno usato il 41 bis, né hanno avuto alcuno scrupolo che fosse poco più che un ragazzino senza colpe. Scioccato da quello che aveva visto, fu portato in ospedale dal padre. Però il capo dell’ospedale era il mafioso Michele Navarra, che lo uccise. Tu che non sei un ragazzino incolpevole di 13 anni oggi vieni curato, com’è giusto che sia, e devi ringraziare lo Stato di questo. Perché delle tue cure, per fortuna, non è responsabile un mafioso. È necessario che si dica altro? Forse è inutile contrapporre la logica ai tuoi deliri.

Se potessi parlarti ti farei i miei migliori auguri per rimetterti in forze, scontare la pena che ti rimane, poi magari fare un po’ di volontariato. Scoprirai che, come diceva Pasolini, l’unica cosa veramente anarchica è il potere. Il potere è l’unico a non avere regole, a fare ciò che vuole. Per le persone comuni non esiste anarchia, esiste l’abbandono, quello sì. Fai volontariato dove lo Stato scarseggia e i cittadini sono abbandonati. Scoprirai che anarchia ce n’è già anche troppa. Fai volontariato, magari antimafia, chissà tu non possa scoprire che ci sono modi ben migliori di dare un senso alla propria vita e che è nell’impegno che la nostra vita trova la libertà. Non nei deliranti progetti di spargere caos, senza sapere cosa costruire dopo aver distrutto.

Omar Alfieri

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