Risale al 27 gennaio 2001 la prima celebrazione in Italia del “Giorno della Memoria”, in ricordo delle vittime della Shoah.
La data scelta dal governo italiano per la giornata volevaricordare quel 27 gennaio del 1945 in cui le truppe dell’Armata Rossa liberarono il campo di concentramento di Auschwitz.L’Articolo 1 comma 1 della legge n. 211 del 20 luglio 2000recita che «La Repubblica italiana riconosce il giorno 27 gennaio, data dell’abbattimento dei cancelli di Auschwitz, “Giorno della Memoria”, al fine di ricordare la Shoah (sterminio del popolo ebraico), le leggi razziali, la persecuzione italiana dei cittadini ebrei, gli italiani che hanno subìto la deportazione, la prigionia, la morte, nonché coloro che, anche in campi e schieramenti diversi, si sono opposti al progetto di sterminio, ed a rischio della propria vita hanno salvato altre vite e protetto i perseguitati».
Ciò che avvenne agli ebrei d’Europa tra il 1939 e il 1945 fu un assassinio di massa, pianificato e organizzato dal Terzo Reich in modo razionale (il che non significa ragionevole!), con l’impiego di metodi altamente efficienti dal punto di vista burocratico e tecnologico. Al genocidio partecipò una vastissima macchina amministrativa che si avvalse del sostegno di migliaia di complici, collaboratori e collaborazionisti.
Lo storico tedesco Eberhard Jäckel nel 1987 ha affermato che «L’assassinio nazista degli ebrei rimane incomparabile perché mai in precedenza uno Stato, attraverso l’autorità dei propri leader responsabili, ha deciso e annunciato lo sterminio totale di un certo gruppo di persone, compresi i vecchi, le donne, i bambini, i neonati e tradotto in pratica questa decisione con l’uso di tutti i possibili strumenti di potere a disposizione dello Stato».
Ad essere sterminati non furono solamente ebrei, certamente il numero più cospicuo, ma anche Testimoni di Geova, zingari e rom, asociali, omosessuali, emigrati, criminali e oppositoripolitici (principalmente comunisti), “diversi” che per i nazisti attentavano alla purezza della razza.
I prigionieri vennero condotti in campi di concentramento, da cui sovente non fecero ritorno. Famigerati luoghi di sterminio furonoAuschwitz (Polonia), Sobibór (Polonia), Treblinka (Polonia), Mauthausen (Austria), Buchenwald (Germania), Dachau (Germania), Sachsenhausen (Germania) e Bergen-Belsen(Germania). Molti italiani transitarono invece dal campo di Fossoli.
I deportati provenivano principalmente da Germania e Polonia ma anche da Italia, Francia, Benelux, Cecoslovacchia, Romania e altri Paesi dell’Est Europa. A perdere la vita, con i metodi più crudeli e disumani, furono circa 6.000.000 uomini.
Privati dei loro beni e di ogni affetto personale, con l’effimera promessa di riaverli, gli ebrei catturati dalle città o dalle campagne venivano condotti nei lager attraverso sfinenti marce o trasportati in carri bestiame. Una volta arrivati, le famiglie venivano smembrate, con la separazione in uomini, donne e bambini. Gli anziani, i fragili e disabili, se non fucilati in massa prima dell’arrivo al campo, venivano condotti immediatamente alle camere a gas. Per i “sani” e gli abili al lavoro la procedura prevedeva docce, rasatura di barba e capelli e la realizzazione di un tatuaggio sull’avambraccio contenente un numero identificativo. Infine, ai deportati venivano mostrati i loro dormitori, le loro nuove case: disadorne baracche in legno, affollate, maleodoranti, ricettacolo di malattie e germi.
L’esistenza quotidiana dei prigionieri nei campi di concentramento era scandita da rituali rigidissimi, il più delle volte privi di senso. La sveglia veniva data quando era ancora notte, dopo di che, in tempi rapidissimi, si dovevano riordinare giacigli e pagliericci, correre alla latrine, cercare di lavarsi senza sapone e con un esile filo d’acqua (nel migliore dei casi), per poi bere un liquido insapore spacciato per caffè. Seguiva l’appello,lento e inesorabile. Iniziava poi il tempo del lavoro, in condizioni abiette e disumane. Ogni errore era severamente sanzionato, quasi sempre con punizioni corporali. Le pause erano inesistenti, eccezion fatta per la distribuzione della “minestra” a pranzo. Durante la giornata i nazisti imponevano agli internati obblighi assurdi, come assistere ad esecuzioni capitali o il cantare e marciare in sincronia. Il tormento finiva la sera con il rientro nelle baracche, dopo un altro spossante appello e una cena serale composta da pochissimo pane di scarsa qualità nutritiva. La possibilità di sopravvivere a queste condizioni (mancanza di cibo, lavoro forzato, temperature insopportabili, violenze sistematiche dei guardiani, soprusi e angherie) era pressoché nulla. La regola di fondo era che nei lager i prigionieri, prima o poi, sarebbero morti. Tuttavia, l’esile soglia tra la sopravvivenza e l’estinzione della vita si legava a molti fattori, il più delle volte imprevedibili. Se la morte doveva essere certa, il quando spesso dipendeva dal caso. Contavano non poco, quindi, l’atteggiamento del singolo deportato, le risorse psicologiche alle quali poteva fare ricorso e l’eventuale solidarietà dei compagni di sventura.
I campi di sterminio erano dunque luoghi di mortificazione morale e di annullamento della dignità umana, dove facilmente si perdeva la ragione, la concezione del tempo e la propria identità, sprofondando nella depressione. La popolazione imprigionata nei lager costituiva una massa inerme di individuisulla quale si potevano applicare, senza vincoli di ordine morale, non solo le violenze più efferate ma anche le tecniche di governo della collettività più brutali e dirette, come in una sorta di gigantesco laboratorio sociale.
Atto ultimo, e vero motivo per cui gli ebrei venivano condotti ai campi di sterminio, era il loro annientamento. Durante i primi anni i prigionieri venivano avvelenati tramite i gas di scarico emessi dai tubi di scappamento dei camion o semplicemente fucilati. In seguito si passò all’uccisione tramite gas cianidrico, lo Zyklon B, un pesticida che veniva erogato dentro luoghi ermeticamente chiusi: la camere a gas. I cadaveri, estratti da altri prigionieri, venivano poi distrutti, tramite incinerazione in forni crematori.
La responsabilità morale e materiale di tale genocidio va attribuita a Hitler e agli alti esponenti delle gerarchie naziste, che nella Conferenza di Wannsee (gennaio 1942) misero a punto un piano per lo sterminio di circa 15 milioni di ebrei: la cosiddetta “Soluzione finale”. Tuttavia, la Shoah non si sarebbe perpetrata senza la partecipazione del popolo tedesco ariano. Educati da bambini e indottrinati da adulti all’antisemitismo, ben presto “uomini comuni” divennero “volenterosi carnefici”, massacratori per sadismo o conformismo, delatori per vendetta o servilismo.
Non tutti i tedeschi, però, parteciparono al processo di annientamento giudaico. Molti non ebrei, ben consapevoli dei pericoli a cui sarebbero andati incontro e senza nessun interesse economico, decisero di salvare i loro connazionali, nascondendoli o fornendo loro documenti falsi e lasciapassare per l’estero. Lo Stato d’Israele e lo Yad Vashem di Gerusalemme hanno riconosciuto tali uomini coraggiosi come “Giusti tra le nazioni” e degni di un’onorificenza, perché, come recita il Talmud, «Chi salva una vita, salva il mondo intero». Tra i Giusti italiani, le cui storie sono oggi di dominio pubblico, vanno ricordati Giorgio Perlasca, Arrigo Beccari e Carlo Angela.
Tutte le interpretazioni negazioniste, da David Irving a Robert Faurisson, sono infine da bollare, in quanto sbagliate e prive di fondamento.
Per chi volesse approfondire e conoscere al meglio la Shoahecco 15 consigli di lettura e 5 film che affrontano l’argomento:
Saggi:
– Otto Friedrich, Auschwitz. Storia del lager 1940-1945, Dalai editore, Milano 2008.
– Daniel Jonah Goldhagen, I volonterosi carnefici di Hitler. I tedeschi comuni e l’Olocausto, Mondadori, Milano 2017.
– Bruno Maida, La Shoah dei bambini. La persecuzione dell’infanzia ebraica in Italia (1938-1945), Einaudi, Torino 2019.
– Lucia Vincenti, Shoah. Storia degli ebrei in Sicilia durante il fascismo, Bonanno Editore, Acireale 2019.
– Deborah Esther Lipstadt, La verità negata. La mia battaglia in tribunale contro chi ha negato l’Olocausto, Mondadori, Milano 2016.
Storie vere e testimonianze:
– Primo Levi, Se questo è un uomo (1947)
– Eva Schloss, Sopravvissuta ad Auschwitz. La vera e drammatica storia della sorella di Anne Frank (1988)
– Daniela Padoan, Come una rana d’inverno (2004)
– Shlomo Venezia, Sonderkommando Auschwitz (2007)
– Andra e Tatiana Bucci, Noi, bambine ad Auschwitz – La nostra storia di sopravvissute alla Shoah (2018)
Romanzi:
– Giorgio Bassani, Il giardino dei Finzi Contini (1962)
– Irène Némirovsky, Suite francese (2004)
– Tatiana de Rosnay, La chiave di Sara (2006)
– Jodi Picoult, Intenso come un ricordo (2013)
– Mario Escobar, La ninnananna di Auschwitz (2016)
Film:
– Schindler’s list (1993)
– Jona che visse nella balena (1993)
– Il pianista (2002)
– Vento di primavera (2010)
– La testimonianza (2017)
Sebastiano D’Urso