A Vanuatu i ragazzi di 7 o 8 anni devono saltare nel vuoto con delle corde legate alle caviglie. È un rito di passaggio all’età adulta. Le società umane ne hanno molti. La tribù di Sateré-Mawe, in Brasile, fa quanto di più brasiliano si possa immaginare: fa ballare i ragazzini… però indossando dei guanti di paglia con all’interno le formiche proiettile, dalla puntura estremamente dolorosa. Al termine della danza, se va bene, hanno mani e braccia paralizzate. Se va male svengono o hanno delle convulsioni.
Molti di questi rituali provocano appositamente dolore e paura per fortificare i ragazzi, metterli alla prova, abituarli alla vita da adulti. Nelle nostre società (“occidentali”) molti di questi riti non sono più prove fisiche, ma piuttosto mentali, relazionali, sociali. È coerente con una società i cui pericoli non sono più fisici, ma immateriali.
I rituali di passaggio più comuni sono il diploma, la laurea, il matrimonio, il primo figlio. Investiamo immense energie per far sapere a tutti che tal dei tali si è diplomato, laureato, aspetta un figlio, e così via. In tante varianti: c’è chi spende moltissimi soldi per i “baby shower”, i “gender reveal” e altre forme del rituale. Per un matrimonio è obbligo sociale investire moltissimi soldi e invitare tutti i membri della tribù che abbiano una qualsiasi parentela o relazione di qualsiasi tipo. Altrimenti il rituale non è valido.
Come disse una persona saggia, ovvero un comico: “non c’è bisogno voi mi diciate che state provando ad avere un figlio. Se una si presenta incinta, so esattamente cosa è successo. Non mi serve essere informato durante il processo”.
Tuttavia, secondo me c’è un solo rituale che sia veramente rappresentativo della nostra società. Il nostro equivalente della tucandeira brasiliana delle formiche. È il momento in cui ricevi la prima cartella esattoriale sbagliata. La tua tribù ti convoca a superare una prova di nervi, organizzazione e conoscenza base delle leggi. Viene testata la tua capacità di affrontare una delle prove più dolorose che i nostri tempi ci riservino: andare all’Agenzia delle Entrate. Prendere il numero, fare una fila interminabile, litigare con chi volesse provare a passarti davanti, infine parlare con un impiegato svogliato e dimostrargli con prove alla mano che hanno commesso un errore.
Non dovremmo più festeggiare lauree, gravidanze e matrimoni. Dovremmo festeggiare la prima volta che ti fai annullare una cartella esattoriale sbagliata. Lì inizia davvero la tua vita da adulto. Una vita di periodiche sofferenze, dove devi andare a ripescare vecchi documenti e ricevute impolverate, dove non solo devi pagare con le tue tasse gli impiegati pubblici ma devi anche fare il lavoro al posto loro.
Il diploma viene detto “maturità” perché segna il passaggio all’età matura, ma io non sono d’accordo. Solo quando ricevi una cartella esattoriale sbagliata sei davvero un adulto. È lì che diventi mentalmente maturo: impari che il mondo è fondamentalmente un posto triste e sbagliato e poi si muore. E non basta: anche dopo morto potresti ricevere una cartella esattoriale. Perché, come si dice, le uniche certezze solo la morte e le tasse, ma all’Agenzia delle Entrate della prima non sono sicuri.