Esattamente 25 anni fa in Italia usciva il secondo romanzo dell’allora vent’enne Enrico Brizzi, “Bastogne”, che collocò l’autore tra gli scrittori definiti “cannibali”, termine con cui viene definito un fenomeno letterario sviluppatosi in Italia verso la metà degli anni ’90, e il romanzo tra i migliori libri pulp della scena italiana. Il titolo è ispirato alla cittadina Belga teatro di una delle ultime e più sanguinose battaglie della II guerra mondiale.
Anni ’80, siamo in una Nizza molto somigliante ad una provincia italiana: qui vivono Ermanno, il protagonista, Raimundo e Dietrich, ragazzi poco più che ventenni dediti alle risse da stadio e ai piccoli furti. La situazione prende una piega ancora più perversa con l’arrivo di Cousin Jerry, cugino di Ermanno, un punk dell’ultima ora con una vita di espedienti, sbandato ma carismatico. Spinti dall’odio per la società i quattro iniziano a mettere a ferro e fuoco la città.
Bastogne è un trip potente, un’escursione da incubo sul lato oscuro della forza, i protagonisti sono animati da un senso di ribellione sociale di carattere distruttivo. Ciò che gli manca non è la moralità: il loro più grave peccato è l’essere del tutto privi di quella forza liberatoria e costruttiva che è l’unica forma di ribellione possibile, sono schiavi dello stesso sistema che combattono. Sorprendente nella sua onestà narrativa ma anche capace di rappresentare una generazione che non solo è priva di valori ma che, cosa ancora pìù grave, li distruggerebbe se fossero oggetti materiali. La scrittura è brillante, curata, fitta di invenzioni, il linguaggio impiegato è scoppiettante con neologismi e la ricerca attenta della parola giusta, contiene, per chi riesce a coglierli, riferimenti al cinema, ai fumetti, ai classici (Rabelais, Stirner, Nietzsche sono letture abituali), alla musica punk e post punk, alle avanguardie novecentesche, a Burroughs, Kerouac, Miller e Bukowski, Tondelli, Bataille e Guattari.
Possiamo dire che Bastogne sta alla letteratura italiana come trainspotting sta a quella britannica, nonostante purtroppo abbia goduto di molta meno fortuna, ma entrambi capaci di raccontare una generazione nella generazione. C’è anche molto di arancia meccanica, la cultura dei drughi intesi come compagni di avventura nell’orrendo circo che può diventare la vita. Con Bastogne, come già era riuscito a fare con il fortunato “Jack Frusciante è uscito dal gruppo”, Brizzi costruisce un linguaggio febbrile, corposo e fulmineo.
Gaetano Votadoro