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Società e Attualità

Combattere la mafia con la cultura: intervista alla fondazione Caponnetto

La Fondazione Antonino Caponnetto è una fondazione di studi sulla mafia. Fu fondata nel giugno del 2003 a Firenze a sei mesi dalla morte del giudice Antonino Caponnetto su idea della vedova Elisabetta, di Salvatore Calleri e di alcuni amici.
VociUni, per commemorare la Giornata della memoria e dell’impegno in ricordo delle vittime delle mafie, ne intervista il Presidente, Salvatore Calleri.

  • Presidente, grazie per aver raccolto il nostro invito. Di cosa si occupa la Fondazione Caponnetto?

La Fondazione organizza ogni anno uno o due vertici nazionali antimafia che riuniscono le persone che combattono contro tale fenomeno, andando nelle scuole a parlare di legalità.

  • Secondo Gesualdo Bufalino, la mafia sarà vinta da un esercito di maestre elementari. Quali sono i nostri doveri di giovani cittadini e studenti universitari?
    Quali sono i processi di formazione culturali alla base della resistenza alla cultura mafiosa?

Il giudice Caponnetto sosteneva che le istituzioni mafiose temano più la scuola che la giustizia.
La mafia è un fenomeno sempre attuale, antico e moderno al tempo stesso, un virus che si adatta ai tempi e alla dinamiche che mutano.
Alla cultura va affiancata la repressione, in un Paese che arranca e che arriva il giorno dopo è necessario essere sempre un passo avanti.
Si tratta di un tema che non può essere relegato al passato.
Oggi la mafia è forte. Tremendamente forte. Se i cittadini per bene non batteranno un colpo lo Stato perderà, la lotta alla mafia deve ritornare tema fondante nella vita democratica del Paese

  • Lei sostiene che per chi combatte la mafia è l’ora più buia. Ci spiega perché?

Oggi è il momento più difficile nella lotta contro la mafia da 30 anni a questa parte.
Ciò che chi combatte realmente la mafia, noi insieme ad altri, temevamo è puntualmente avvenuto: la fine del cosiddetto doppio binario.
Per i non addetti ai lavori il doppio binario è quell’insieme di norme antimafia speciali nate con il sangue delle vittime. In parole povere la mafia vien trattata peggio dei criminali comuni. L’ergastolo per un mafioso era vero, ossia senza fine pena. Il 41bis era vero, ossia senza alcuna possibilità di mandare ordini all’esterno ed altro ancora.
Oggi in nome di una sorta di buonismo pro mafia volontario, indotto oppure involontario, consapevole od inconsapevole, il risultato non cambia, abbiamo de facto eliminato il doppio binario.
La sensazione è che in modo silente si sia scelto di riconvivere con la mafia.
Le poche note positive sono i numerosi procedimenti contro la mafia in corso ed il primo ergastolo al boss Nino Madonia per il duplice omicidio del poliziotto Nino Agostino e della moglie incinta, Ida Castelluccio, uccisi il 5 agosto 1989. Un primo segnale di giustizia che il padre di Nino, Vincenzo non ha mai smesso di chiedere e che è arrivato dopo 32 anni.

Giuseppe Dimartino

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