Vaccino sì, vaccino no. Ma non è questo il punto. Anzi lo è, ma inerente ad un discorso diverso che sta scuotendo gli animi e suscitando i commenti della maggior parte degli studenti dell’Università degli Studi di Catania. Ma andiamo per ordine.
Già da qualche giorno, precisamente sin dal 27 dicembre 2020, è iniziata la campagna di vaccinazione nazionale con l’arrivo delle prime dosi, previste dagli accordi internazionali, del vaccino Pfizer Biontech. Data, giorno sicuramente storico che verrà ricordato ai posteri con il nome di VaccineDay. Dal giorno successivo, il 28 dicembre 2020 quindi, i vaccini (proporzionalmente?) redistribuiti fra i vari Paesi dell’UE avrebbero conosciuto le realtà regionali e locali per iniziare, secondo un piano nazionale ben definito, il processo di immunizzazione capillare delle grandi masse. In Italia questo prevede che i primi a poter usufruire del vaccino siano i medici, il personale sanitario tutto e i soggetti più deboli come gli anziani, in particolare gli over 80. Le prime dosi che, nel nostro caso, sono state spedite alla Sicilia e hanno dato il via, a Palermo e a Catania, alla campagna di vaccinazione sono 865, con l’auspicio (nonostante stiano già numericamente aumentando) che queste, a fine corsa, diventino più di centomila. Ma perché un argomento e un momento così importante ha suscitato dispiaceri e disordini (mediatici s’intende)?
Ecco che la figlia dell’Etna si dimostra acclarata e viva come non mai: l’Università degli Studi di Catania decide di iniziare autonomamente una campagna di sensibilizzazione rivolta soprattutto ai giovani, consentendo a sei rappresentanti degli studenti di usufruire del vaccino. Ed è così che gli “Eletti” (l’ambiguità del termine viene sottoposta a interpretazione personale del lettore), tutti giovani ragazzi, hanno potuto dire fieramente d’essersi sottoposti al vaccino invitando tutti i loro coetanei e non ad intraprendere questa scelta per senso di responsabilità e dovere morale. Gesto lodevole? Nobile? Non spetta a noi giudicare o intraprendere la discesa etica in cui potrebbe (s)cadere questo articolo. A noi spetta, piuttosto, interrogarci su cosa abbia spinto l’Ateneo a prendere una scelta così importante. A noi spetta capire il perché di tale iniziativa e, soprattutto, il come dato che le dosi iniziali dovevano rigorosamente rispettare un piano (precedentemente menzionato) già redatto. Era opportuno, adesso, sensibilizzare una comunità accademica che vive rinchiusa dietro uno schermo da ormai più di 8 mesi o sarebbe stato più efficace e sensato scuotere le coscienze successivamente? Era opportuno utilizzare dosi di vaccino per sei studenti universitari e non per sei, per esempio, anziani o medici o sanitari? L’obbiettivo qual é? Forse l’Ateneo come struttura amministrativa ha perso di vista il vero fine di tanto e dictanti sacrifici.
La comunità accademica necessita di uscire da questo tunnel del Covid-19 che ha scosso e cambiato tutti e, forse, sarebbe stato più opportuno se a questa scelta ci si fosse impegnati successivamente.
Attraverso il dialogo e il confronto è necessario adesso lavorare al fine di prendere un’altra grande decisione: consentire, nell’anno nuovo, di ritornare a vivere in presenza i luoghi della cultura e dello studio accademici in serenità lasciandoci dietro e chiuso, anche simbolicamente, un anno disastroso come il 2020.
Luca D’Emilio