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Elisabeth ed Alma, una sola Persona

“Date una maschera ad Elisabeth, così dirà la verità!” avrebbe detto Oscar Wilde alla protagonista scissa di “Persona”, film psichedelico del cineasta svedese Bergman uscito nelle sale nel 1966.

Due luci si accendono, sono intermittenti e insistenti nel loro pallore; poi una pellicola scorre in un proiettore. Rumori. Mondo onirico che si intreccia con immagini animate, imperfette, un pene in erezione e un agnello sgozzato. Poi ancora un chiodo conficcato su una mano grondante di sangue, in un inquieto rimando al Cristo in croce. Infine il nulla più bianco: la neve. Questi accostamenti, così strambi e perturbanti, sono manifesto omaggio al montaggio cinematografico del russo Ejzenstejn. Tripudio di sperimentalismo in chiave psichedelica.

Persona è un enigma cinematografico sin dal titolo: esso potrebbe derivare da un’antica locuzione latina, dramatis persona, indicante la maschera indossata dall’attore in scena. Elisabeth, la protagonista, è un’attrice teatrale. Prima spiegazione data. Tuttavia, “persona”, sempre nel contesto della linguistica latina, è una parola composta dal prefisso indicante l’eccesso “per” unito a “sona”, troncamento del verbo “sonare”. La maschera, in assenza della strumentazione elettronica durante l’età classica, fungeva da amplificatore naturale della voce grazie alla sua conformazione bislacca, larga e corposa alle guance, come un’anfora. La prima definizione è così arricchita, esagerata forse, dalla seconda.
La giovane attrice, durante l’esecuzione del dramma classico “Elettra”, si interrompe come se fosse impedita da una causa esterna a lei. Ride senza motivo, istericamente. Poi tace. Decide volontariamente di preferire il mutismo alla morte, seguendo la logica pirandelliana legata alla ribellione mossa contro l’esistenza.

Una perizia psichiatrica stabilisce che la donna, a dispetto dell’evidenza, è sana; è necessario che vada a mare per svagarsi. A mare sarà in compagnia della giovane ed inesperta infermiera Alma.

Alma ama amichevolmente la propria paziente che, attraverso i suoi ribelli silenzi, diviene la compagna fidata e la fedele custode di ogni segreto della giovane infermiera. La mimica facciale delle due giovani donne, ancelle della logica duale, suggella un’amicizia caratterizzata da soliloqui ascoltati.

Equilibrio spezzato precocemente: Alma desidera tanto che l’amica parli, che dica un “Sì” un “No”; nessuna pretesa di dissertazioni filosofiche sulla morte di Dio. Elisabeth non risponde; decide di continuare la sua coerente ribellione alla parola, Logos universale che domina il mondo, stoicamente. Equilibrio rotto inevitabilmente.


La battaglia alle parole superflue, terreno fertile del teatro dell’Assurdo, sottolinea che la verità effettiva si trova nel non detto. Menzogna taciuta e non rivelata a se stessa. Elisabeth è l’attrice, “ipocrita” come sottolineato dai Greci, di sé. Alma ed Elisabeth sono la stessa persona; la loro complicità rivela l’una all’altra la sostanziale identificazione, quest’ultima legata ad un oscuro mistero: entrambe le giovani donne non vogliono avere un figlio.

La violenza di Alma contro l’attrice è contro sé stessa; il silenzio ribelle di Elisabeth e la bugia azzittita da un sottile ed opaco velo di ipocrisia.

L’opera cinematografica del cineasta svedese è metacinematografica: attraverso la ricorsività ossessiva legata alle pellicole mute, ai montaggi di Ejzenstejn e ai confusi fotogrammi luminosi, il film parla di sé stesso, scindendosi come le due giovani protagoniste della pellicola.

BergmanIngmar. – Regista cinematografico e teatrale svedese (Uppsala 1918 – Fårö 2007). Esordì nella regia teatrale e a questa attività si dedicò alternativamente anche dopo le sue affermazioni internazionali come regista cinematografico; dal 1963 al 1966 diresse il Reale teatro drammatico di Stoccolma.

Serena Di Muni

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