Lui è Jago, uno dei più famosi scultori al mondo, accanto ad una sua opera. Avete mai sentito parlare di Jago? Forse no.

Per questa statua, un busto di Papa Benedetto XVI, erano stati inizialmente offerti 22 milioni di euro. Ma l’opera non soddisfaceva il suo autore, il quale a seguito della rinuncia alla carica ha deciso di spogliare – letteralmente – il Papa. Il nome viene dunque cambiato in “Habemus hominem”: ecco l’uomo. A seguito di ciò, l’offerta multimilionaria è stata ritirata.
Così Jago (Jacopo Cardillo) ha perso un mucchio di soldi ma ha dimostrato un valore umano senza pari, un talento che nessuna ricchezza potrà mai comprare. La cura dei dettagli che mette nelle sue opere e l’emotività che ne traspare (incredibile la maestria e ricchezza di dettagli della sua opera “Il figlio velato“) gli hanno fruttato unanimi riconoscimenti a livello mondiale e infiniti paragoni con Michelangelo.

Impressionante è dire poco. Nessuno riesce a rimanere indifferente di fronte al valore estetico e sociale dell’arte di Jago, uno strabordante talento che ha ancora poco più di 30 anni e tutta la propria storia ancora da scrivere.
A me personalmente impressiona ancora di più il non averne mai sentito parlare. Mi viene da chiedermi quanti di questi talenti vengono ignorati dai media. Ad inizio novembre Jago ha abbandonato in piazza una sua opera stimata 1 milione di euro. La rappresentazione ha preso il nome di “Look-down“: gioco di parole con “lockdown”, significa “guarda giù”.

Rappresenta un bambino in posizione fetale legato da una catena anziché da un cordone ombelicale. Il nome di quel bambino è “Homeless”, senzatetto. Perché, ha spiegato lui, dentro ogni senzatetto c’era un bambino che ha perso tutto, è rimasto nudo e abbandonato in mezzo alla strada. E noi dobbiamo ricordarcelo, dobbiamo vedere quel bambino ignorato da tutti. Forse per questo ha poi deciso di lasciarlo al centro di una piazza, senza una balia ma in balìa dei passanti. La sua opera non è un pezzo da museo, è dettata da un’esigenza e una vocazione sociale. Fonde l’estetica di Michelangelo con l’esistenzialismo di Banksy, lo street artist che lascia gattini nelle zone di guerra e si definisce “existencilist” per l’uso dello stencil, strumento rapidissimo per fare un blitz artistico e poi fuggire via.
Chissà che l’approdo di Jago prima o poi non sia in una zona martoriata dalla bruttezza della guerra. Per ora, dopo anni oltreoceano, si è stabilito al rione Sanità di Napoli, una scelta molto significativa per risollevare attraverso l’arte una città la cui linfa vitale è da sempre drenata dalle condizioni sfavorevoli contro cui lotta.
Ma se l’arte di Jago è uno schiaffo in faccia, un improvviso pugno allo stomaco che arriva da dentro te stesso e ti sconvolge, sebbene riesca a tirar fuori lacrime che non pensavi di poter produrre davanti ad un pezzo di marmo, quell’arte di calibro mondiale è ancora sconosciuta ai più. Forse proprio per la sua potenza espressiva, perché eccezionale e incontenibile, i telegiornali trovano il tempo per Peppa Pig ma non per l’arte di Jacopo Cardillo. Forse perché fa riflettere le persone e, si sa, le teste è sempre meglio tagliarle prima che inizino a pensare. Così diceva Saramago, perlomeno. Un altro genio indiscutibile che provò a risvegliarci dalla nostra cecità umana e morale e che forse condividerebbe l’invito a “guardare giù”.
Ancora più esplicita la spiegazione di Jago. Il senso di Look-down? “Andatelo a chiedere a tutti quelli che, in questo momento, sono stati lasciati incatenati nella loro condizione. Lookdown è un invito a “guardare in basso” ai problemi che affliggono la società e alla paura di una situazione di povertà diffusa che si prospetta essere molto preoccupante, soprattutto per i più fragili.”
Jago potrebbe essere il nostro Banksy, il nuovo Michelangelo, o ancora meglio: potrebbe essere il nostro nuovo Jago. Solo Jago. L’eccezione alla regola. L’imparagonabile. Divenire lui stesso un metro di paragone per l’eccezionale talento italiano. D’altronde la grandezza nasce dalle eccezioni. La Cappella Sistina è stata eccezionalmente (in tutti i sensi) dipinta da uno scultore: Michelangelo, per l’appunto.
Forse, però, quel bambino legato ad una catena-cordone ombelicale è anche la metafora di tutti i talenti italiani completamente ignorati dai media, perché “con la cultura non si mangia”. No, con la cultura non si mangia: si vive. Senza gli artisti come Jago, non coltivando adeguatamente i propri talenti, sarà l’Italia a sostituire il proprio cordone ombelicale, che fornisce nutrimento, con una sterile catena arrugginita. Resterà per sempre una “nave sanza nocchiere in gran tempesta”.
Omar Alfieri