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Contratto per i Rider: focus sulla situazione

Una recente circolare del Ministero del Lavoro ha definito, anche se ancora poco chiaramente, un settore fino ad ora sconosciuto alla giurisprudenza, quello dei Rider.

Sono lavoratori definiti come ciclo-fattorini che inizialmente tendevano a consegnare solamente cibo a domicilio, ma col passare del tempo si è verificato un incremento dei servizi resi disponibili. L’attualità determina sempre un cambiamento, difatti si è registrata una forte espansione del fenomeno, che ad oggi sta subendo un particolare boom, di cui nessuno potrebbe prevedere la portata nella situazione post pandemia. Vi sarà presumibilmente un certo consolidamento rispetto alla situazione pre-Covid, ma sta di fatto che i Rider sono oramai una categoria lavorativa di cui è difficile immaginarne la scomparsa. Si pongono su questi punti una serie di problemi.

Partendo dalla qualificazione del rapporto di lavoro, data per scontata la differenza fra lavoro subordinato e lavoro autonomo, è necessario ritornare alla modifica al contratto di CoCoCo (Collaborazioni Coordinate Continuative, ciò vuol dire che il lavoratore è considerato come autonomo, il che implica minori tutele), effettuata dal decreto legislativo 81 del 2015, meglio conosciuto come Jobs Act, che oltre ad abrogare il precedente lavoro a progetto del CoCoPro (promosso dalla legge Biagi), nell’art.2 agisce contro le forme di abuso delle collaborazioni, fornendo una valutazione caso per caso: se la modalità di organizzazione del lavoro è autonomamente determinata dal collaboratore stesso, si parlerebbe di collaborazione genuina; se l’organizzazione del suo lavoro avviene per input diretto del committente, quest’ultimo rischia di diventare un effettivo datore di lavoro, con la conseguenza che, per tutelare la posizione del lavoratore, a lui verrà estesa la fattispecie del contratto di lavoro subordinato, con tutte le tutele in caso di licenziamenti, retribuzioni, permessi etc.

Nel caso di specie dei rider, è plausibile parlare di etero-organizzazione del lavoro, perché al potere direttivo si sostituiscono altre modalità di conformazione della prestazione del lavoratore pur in assenza di ordini verticali, attraverso meccanismi organizzativi. Sempre di più le imprese evitano di far intervenire l’ordine imposto esplicitamente dal capo, perché richiede tempo, controllo, verifica personale, ma la modalità di prestazione del lavoratore può essere completamente etero-organizzata da chi predispone la procedura stessa, non vi è bisogno di un capo, basta un’app che imponga ordini e dica cosa fare. L’impresa diventa pura organizzazione del lavoro che non prevede sanzioni, ma se non viaggi, non ti pago. Uber Eats Italia ha 4 dipendenti, tutto il resto sono collaboratori, il sistema così si autoregola.

Il Tribunale di Palermo, con sentenza del 20 novembre 2020, si pronuncia in materia di qualificazione del rapporto di lavoro di un Rider addetto alla consegna di merci, cibi e bevande a domicilio, qualificandolo come lavoratore subordinato e ritenendo il licenziamento subito dallo stesso orale, dunque inefficace per essere stato disposto il suo allontanamento dal luogo di lavoro mediante il suo distacco dalla piattaforma Gloovo.

Anche il loro inquadramento contrattuale è una questione da discutere: fino a pochi giorni fa non si aveva un contratto collettivo dei Rider.

A seguito della sentenza, il giudice del Tribunale di Palermo non ha potuto fare altro se non recuperare l’art. 2070 c.c., ovvero osservare l’attività dell’impresa e immaginare nel panorama dei contratti collettivi quale sia quello più vicino al lavoro compiuto dal Rider. L’operazione interpretativa ha portato a giudicare il contratto collettivo della logistica, inteso come trasporto di merci, come quello da prendere in causa.

La particolarità è che l’associazione datoriale AssoDelivery, che raggruppa la maggior parte delle imprese (come Deliveroo, Gloovo, SocialFood e Uber Eats), ha stipulato un contratto collettivo, ma ci si trova comunque di fronte ad un problema: questi rider non sono assunti con contratto di lavoro subordinato, ma vengono considerati CoCoCo, dunque autonomi. O si firma il contratto collettivo o si applicherà la disciplina del rapporto di lavoro subordinato. Ovviamente, per le imprese ci sono delle ragioni per mantenere questi rapporti come autonomi.

Mettendo in concorrenza le diverse piattaforme, si può massimizzare l’attività e, come succede in questa fase, si sta alzando il prezzo del costo orario del rider, poiché cominciano ad essere molto richiesti, ed anche le piattaforme sono in competizione per contendersi i Rider.

Il contratto collettivo non prevedeva che la modalità di effettuazione delle prestazioni fosse subordinata, ma la libertà assoluta di scegliere, la piena autonomia, ma a condizione che fosse stato applicato il contratto collettivo con delle tutele e con retribuzione minima fissata, tutela assicurativa, previdenziale, in termini sindacali, in materia di malattia e tutta una serie di tutele a condizione, che non li consideri dipendenti di quella piattaforma. 3 mesi fa AssoDelivery ha raggruppato le maggiori piattaforme e firmato un contratto collettivo ai sensi dell’art.2 comma 2 del d.lgs. n.81 del 2015, norma che da l’accesso alla firma del contratto.

Il contratto non è firmato da tutti i sindacati ma solo dall’UGL, sindacato sicuramente rappresentativo, ma uno dei tanti e non il più grande, se non fosse per il fatto che UGL è stato il sindacato che per primo ha capito che fra i Rider vi era una platea di potenziali iscritti da coltivarsi. Sicuramente è il sindacato con più iscritti fra gli stessi lavoratori dell’ambito specifico, che secondo i dati non sono più di 30 mila, un numero anche ristretto rispetto ad altri settori lavorativi, e forse il motivo per il quale gli altri grandi sindacati non hanno avuto interesse a prendersi in carico la faccenda.

Succede che CGIL, CISL e UIL si arrabbiano. Cercano di provocare la politica pressandola fortemente affinchè delegittimi il contratto collettivo, operazione non banale. Questi sindacati erano sostanzialmente contrari ad un contratto collettivo in cui non fosse applicabile ai rider la disciplina del rapporto subordinato, ma quello del lavoro autonomo salvo le tutele del contratto collettivo. Viene sollecitato il Ministero del Lavoro, il quale afferma che il contratto collettivo non è applicabile, poichè si sarebbe dovuto applicare l’art.2070, quello del settore di appartenenza della logistica.
Problema: vi è già un contratto collettivo di AssoDelivery, quindi come si agisce se il Ministero afferma che bisogna guardare il contratto nazionale della logistica per affinità? La questione sembra interessare anche le libertà dei singoli sindacati.

Le parti dovrebbero determinare l’ambito contrattuale, AssoDelivery dovrebbe determinare un nuovo ambito del food delivery con i sindacati (l’art.39 è stato applicato solo con riguardo al primo comma, che sancisce come l’organizzazione sindacale sia libera).

Il Ministero del Lavoro contesta ciò attraverso una serie di argomenti, come il bisogno di guardare alla categoria più ampia (non scritto da nessuna parte) e che la legge afferma che il contratto collettivo debba essere stipulato dalle associazioni sindacali, e siccome qui ne compare in gioco una sola (UGL), non si può applicare. In verità ci sono un sacco di casi in cui la legge parla di accordi plurilaterali in cui il termine plurale non era necessariamente prescrittivo di una pluralità di soggetti, ma descriveva una semplice pluralità,cioè uno dei sindacati, uno dei tanti, non necessariamente almeno due. Si è di fronte ad una situazione in cui un Ministero si è arrampicato sugli specchi per dire come un contratto collettivo non fosse valido.

Il contratto rider firmato dal sindacato UGL e AssoDelivery prevedeva un compenso minimo di 10 euro per ogni ora lavorata, indennità integrative pari al 10%, 15% e 20% in caso di lavoro notturno, festività e maltempo oltre che un premio di 600 euro ogni duemila consegne.

In media, un rider guadagna intorno ai 3,30€ lordi a consegna (ma c’è anche chi paga 2,40€), da cui bisogna togliere la ritenuta d’acconto e l’eventuale costo del carburante ecc.

In uno “slot” di un’ora, riescono a fare 1-2 consegne in bici, 3 con lo scooter, 2 con l’auto, traffico permettendo e distanze permettendo (varia in base alla città).

Poi, il pagamento per ogni “ora lavorata” significa che viene calcolata solo la durata del tempo di consegna. Vale a dire che il tempo in cui bisogna essere disponibili e si aspetta di ricevere la chiamata non è pagato, dunque è sempre un lavoro a cottimo e non a tempo.

In mezzo a tale marasma, Just Eat ha annunciato che dall’anno venturo le cose cambieranno in meglio per i rider, annunciando al contempo l’uscita proprio da AssoDelivery, mentre Panino Giusto ha confermato la svolta green.

Ma le aziende si sono sempre opposte a riconoscere i rider come lavoratori subordinati. Un anno fa, nel decreto Salva imprese, il governo si era impegnato a fornire un impianto normativo che comprendesse la presenza di lavoratori subordinati e saltuari, ma al contempo lasciava alle aziende e ai sindacati entrare nel dettaglio e trovare un’intesa. La pandemia ha poi rallentato le trattative, fino alla firma del contratto tra UGL e AssoDelivery.

Un muro contro muro che al momento non vede crepe in nessuno dei due fronti. Il Ministro del Lavoro, Nunzia Catalfo, ha convocato per l’11 novembre un tavolo di confronto tra AssoDelivery e sindacati. L’incontro non è andato a buon fine e ancora oggi sembra che le possibili soluzioni ad una questione sempre più spinosa siano le più risicate.

L’azienda toscana Runner Pizza, pioniera della consegna a domicilio della pizza, avrebbe proposto una soluzione per certi versi ibrida, con una retribuzione su base oraria alla quale si aggiungono degli incentivi legati al numero di consegne effettuate. Ma ancora oggi non sembra che il punto focale della questione si sia rimarginato, aspettando le conseguenze della decisione del Tribunale di Palermo per capire e avere una direzione più chiara sull’argomento. Nel frattempo ai Rider non resta che esercitare il loro diritto allo sciopero ex art.40 Cost., nell’attesa di un accordo o di una novità nel settore.

Antonio Spampinato

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