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Quantità o qualità?

Questo pensiero intende adottare un approccio meritocratico, con il fine di porre la razionalità davanti all’emotività.

Diego Armando Maradona è morto da pochissimo. Il Dio del calcio merita, perché nel suo lavoro è stato il migliore. In televisione, su qualsiasi canale è possibile vedere in questi giorni lunghi video, interviste, pensieri, ricordi in onore dell’argentino. Maradona è stato esempio di genio e sregolatezza, ma è stato anche simbolo di Napoli, della sua Argentina e del Sud America, in tutta la sua energia (e in momenti storicamente e politicamente molto particolari). Qui non si intende valutare il calciatore o l’uomo, qui l’intento è riflettere e capire come l’emotività stia superando la razionalità. Maradona merita sotto un punto di vista mediatico tutto ciò: questo è giusto e sacrosanto. Il punto è che altri personaggi meno popolari, ma allo stesso tempo grandi, non hanno avuto lo stesso trattamento mediatico. Intendo considerare due esempi in particolare. Il primo è Luis Sepùlveda, scrittore cileno deceduto proprio quest’anno. Figura influente, carismatica e immensa nel suo lavoro, è stata ricordata più sui social (per via delle condivisioni delle sue citazioni o delle sue opere più importanti) che in televisione. I dossier, gli approfondimenti televisivi son stati veramente pochi, soprattutto considerando le fasce orarie in cui la gente segue di più la televisione. Altro esempio è Rita Levi Montalcini: donna, italiana, vincitrice nel 1986 del premio Nobel per la medicina, non ebbe lo stesso trattamento mediatico quando se ne andò, diversi anni fa. Il clamore mediatico televisivo attorno a Maradona è tantissimo, ed è giusto. E’ meno giusto che non sia stato fatto allo stesso modo (stesso modo, né più né meno) con altre figure, come quelle citate. 

I media quindi, dimostrano la volontà di accontentare la pancia delle persone, favorendo l’emotività (Maradona tiene davanti allo schermo più persone rispetto alla Montalcini). Scelte sulle quali è difficile trovarsi d’accordo, innanzitutto perché molti programmi televisivi, molti telegiornali hanno un ruolo fondamentale: comunicare, informare. Risulta certamente più comodo porre l’attenzione sulla tristezza dei napoletani in pellegrinaggio piuttosto che sul fatto che stessero creando maxi-assembramenti (ma come, non amate Napoli e i vostri concittadini?). Il punto è che l’informazione dovrebbe essere anche questo, mentre i maxi-assembramenti son passati per normali o addirittura giusti (a momento ho contato un solo giornalista che ha deciso di fermare la diretta da Napoli).  Legittimare la scalata delle emozioni sulla realtà risulta pericoloso, per tutti. 

Allo stesso tempo, per avvalorare ulteriormente tale tesi, va menzionato uno sgradevole episodio avvenuto alla vigilia della Giornata contro la violenza sulle donne: una donna mostra in un tutorial come fare una spesa attraente, raggiungendo l’apice della mercificazione della donna. Questo è l’esempio più eclatante di una continua e imperterrita mercificazione della donna. Tutto ciò è intollerabile, soprattutto se il giorno dopo si parla dei terribili dati relativi alle violenze domestiche subite da donne (macchia di ipocrisia). 

In conclusione, i media (pubblici e privati) risultano attori fondamentali nella formazione dell’opinione pubblica. Per questo motivo non ci si può permettere da un lato di ragionare in termini di popolarità, preferendo sfamare la pancia degli ascoltatori piuttosto che dissetare la loro sete di conoscenza (e quindi il progresso), e dall’altro di mantenere una distanza tra intenzioni e azioni. Per questo motivo mi auguro che i media – con un aiuto, con l’esortazione della classe politica, ma anche della società – possano stabilire una nuova scala di priorità che punti alla qualità, al progresso, alla crescita, sotto ogni punto di vista, nel rispetto di tutti. Se le emozioni e i sentimenti divorano l’aspetto razionale, è il caos, e la società l’ha più volte dimostrato, purtroppo (vedi i negazionisti, considerando questo momento storico). Qualità o quantità? È questo il dilemma. 

Antonio Ludovico Mangiameli

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