Un’altra pausa, un altro fermo. Il ritorno del suono delle ambulanze, l’aumento dei contagi, la paura nell’uscire di casa, nel fermarsi per un lasso di tempo troppo prolungato in una via affollata del centro; la ricerca di un untore, del responsabile di tutto questo e i primi morti. Ritornano tutte quelle dinamiche già vissute, che sembravano per un istante averci risparmiato grazie all’arrivo della stagione estiva. Questa volta però ci sentiamo più pronti e sicuramente più consci nell’affrontare le conseguenze.
Infatti, muniti di mascherina e di disinfettante, siamo tornati riposati dalle vacanze estive. Tra pub, discoteche e lidi abbiamo festeggiato il San Lorenzo ed il Ferragosto, magari insieme a persone mai viste sino ad allora, tutti accomunati dallo stesso desiderio di spensieratezza. Tanto ai problemi ci si pensa domani. Sappiamo già quali saranno le procedure da seguire, gli accorgimenti da tenere bene a mente, sappiamo quali saranno le prossime chiusure e chi saranno i primi ad essere chiamati per combattere una seconda ondata. Sì, una “seconda ondata”.
In questi ultimi tempi i politici, i medici e i giornalisti si sono sbizzarriti nel cercare di dare un volto, un colore, un nome ad un virus che, per quanto virulento sia, non riesce a confutare le tesi dei negazionisti oppure di chi semplicemente non rinuncia a un giorno di vita sociale. Non basta parlare dell’esistenza di un “nemico invisibile”, di una “battaglia senza armi”, di “operatori sanitari in frontiera”, di “ ospedali al collasso”, di “corsa al vaccino”. Sulla base delle conoscenze acquisite nel periodo di lockdown, abbiamo raggiunto le competenze adeguate per poter smentire o addirittura per poterci opporre agli studi e agli interventi di epidemiologi e infettivologi, che anticipavano i danni di un comportamento scorretto.
Siamo pronti, è vero, siamo pronti ad affrontare una seconda ondata, a scommettere su quali saranno le regioni a colorarsi di giallo, arancione o rosso, e muniti di lievito e farina siamo pronti a dimostrare ai social le capacità culinarie di cuochi mancati che poi, con un po’ di esercizio casalingo, camuffano i chili di troppo. Ci siamo dimenticati, però, di quel mondo che non ha mai smesso di lottare e che già nelle ultime settimane del febbraio scorso assisteva inerme allo sconvolgimento della propria vita, come in un film apocalittico. Certo è che nessuno avrebbe mai immaginato il fermarsi delle industrie secondarie, la chiusura delle scuole, delle università, dei centri commerciali ed estetici, dei parrucchieri, delle palestre, delle botteghe e l’annullamento dei biglietti acquistati per tornare al proprio domicilio. Nessuno avrebbe mai pensato che sarebbe diventato rischioso andare a fare la spesa, una corsetta al parco oppure andare a trovare i propri nonni, abbracciarli, riempirli di baci e magari raccontargli la propria giornata davanti a una fetta di crostata alle ciliegie appena sfornata.
Ad un certo punto la nostra quotidianità si è trasformata in attesa. Attesa di buone notizie. A volte era sufficiente sapere che il proprio papà, la propria mamma, sorella o fratello non erano stati infettati e potevano ritornare, dopo un’estenuate giornata di lavoro, in quella “parte” di casa riservata a loro. Erano le parole a fare la differenza. Il buongiorno al mattino, la condivisione di un pensiero, di una poesia oppure del testo di una canzone di almeno trent’anni fa come sveglia di buon auspicio che ti dava le energie sufficienti per affrontare una nuova giornata, in attesa della chiamata di fine turno che ti comunicava se potevi iniziare a cuocere la pasta. Anche in situazioni come questa era diventato necessario appigliarsi a degli istanti di quotidianità, e mentre il numero dei morti saliva insieme a quello degli operatori sanitari impegnati, tu pregavi affinché un tuo familiare non avesse sbagliato nulla nella procedura di svestizione e che anche quel giorno avresti potuto preparargli il pranzo.
Sì, siamo pronti e carichi per affrontare una nuova ondata, ma soprattutto per sopportare le proteste di chi sostiene che il Covid-19 non esiste e che il lockdown sia soltanto uno strumento di controllo dello Stato, oppure di chi pretende di voler vedere i propri parenti in ospedale senza aver fatto prima un tampone. Allora a cosa serve la mascherina se tanto non può proteggerci dalla massa di ignoranti che si vantano di rispettare le regole, mentre fanno la fila al supermercato con la mascherina sotto il naso? Si è parlato tanto di “eroi”, così tanto che alla fine la parola ha perso il suo nobile significato. Mio padre, mia madre e i miei fratelli erano e sono degli eroi anche prima del covid, perché credono nel senso del dovere e nel rispetto verso gli altri, al di là del fatto che si tratti di parenti oppure di amici.
Adesso siamo pronti ad affrontare una seconda ondata, ma questa volta con un maggiore senso del rispetto, con la fiducia e la speranza nei confronti di uno Stato che non ci abbandona e di una comunità che lotta per la vita del prossimo. Solo così possiamo essere anche noi degli eroi.
Martina Maiuzzo