Migliaia di studenti in sette università del Regno Unito sono stati confinati nei propri appartamenti, per arginare i contagi, mentre in Italia si fa largo l’idea (già adottata dalla Francia) di un coprifuoco dalle 22 alle 6.
I ragazzi chiedono un rimborso, almeno parziale, delle tasse universitarie: perché versare ingenti risorse per non fruire interamente di un servizio? È nata così una petizione che ha raccolto oltre 350 mila firme.
In Italia, invece, il Decreto Rilancio stabilisce che uno studente debba possedere tre requisiti per essere esentato dalle tasse: se è una matricola, il suo Isee deve essere inferiore ai 20mila euro; se non lo è, deve essere fuori corso al massimo di un anno, con un minimo di 10 crediti formativi per chi frequenta il secondo anno, e 25 per chi frequenta il terzo. Ci sono poi delle riduzioni fino all’80% per chi rientra nella fascia di Isee tra i 20mila e i 30mila euro.
Delle misure che, secondo molti, sarebbero insufficienti a fare fronte all’emergenza.
Tasse aumentate, a causa di un ampliamento della no tax area realizzato con parametri opinabili, a dispetto di servizi che, da marzo a oggi, sono molto minori.
Certamente un’occasione per far quadrare bilanci pubblici sempre più sull’orlo del dissesto.
Ma agli studenti chi ci pensa?
Tanto che, secondo Svimez, per l’anno 2020-2021 ci potrebbero essere quasi 10.000 studenti universitari in meno, soprattutto nel sempre bistrattato meridione.
Le lezioni universitarie a distanza hanno lo stesso valore di quelle in presenza o rischiano di ridursi a un autoreferenziale parlarsi addosso?
Giuseppe Dimartino