Noi siamo qui ed ora, e senza forse farci troppo caso, saremo una pagina dei libri di storia.
Studieranno il 2020, la pandemia.
Studieranno il numero dei decessi, il vaccino, il Governo Italiano, un virgolettato di qualche Presidente, della Regina Elisabetta magari, ma non sapranno mai, veramente, come vivevamo noi, come continuavamo o finivamo le nostre vite.
Lo potranno sapere da qualche tramandato racconto, destinato a spegnersi solo dopo qualche generazione.
A loro rimarrà un quadro arido, fatto di dati, di numeri.
Qualcuno di loro, con un po’ più di curiosità o di immaginazione, tenterà di comprendere qualcosa di ciò che, noi, oggi, stiamo provando.
Magari si soffermerà su qualche fotografia…
ma la verità è che nessuno potrà minimamente avvicinarsi con il pensiero a quello che è, per noi, il 2020.
Quella pagina di storia, siamo noi.
Un po’ come quando, studiando le grandi guerre, qualcuno di noi ha cercato di capire cosa potessero provare i nostri nonni o i nostri bis nonni durante i bombardamenti, cosa significasse per loro vivere un amore con la morte dietro l’angolo.
Ma non lo sapremo mai, non riusciremo neanche mai ad avvicinarci a quello che erano le loro vite.
E allora sì, nessuno potrà mai capire la paura che abbiamo provato quando al tg sentivamo aumentare il numero dei morti a causa del virus.
Centinaia e centinaia di persone morte ogni giorno.
L’angoscia di vedere le immagini dei camion militari portar via le bare con delle persone che non ce l’hanno fatta.
Nessuno potrà mai comprendere il dolore nel dover accettare di perdere parenti e amici a causa del covid-19, un virus forse, fino a quel momento, sottovalutato.
Nessuno potrà mai vivere l’ansia dell’attesa delle parole del Presidente del Consiglio dei Ministri. Le nostre vite cambiate, così, da un momento all’altro, le nostre vite che dipendevano da un discorso a reti unificate.
Un discorso che è riuscito, inaspettatamente, a trasformare un banale “ci vediamo domani” in un triste “forse ci vedremo tra qualche mese” o forse, purtroppo, in alcuni casi, non ci vedremo più.
Chiusi nelle nostre case, grandi o piccole, in tanti o in pochi, respirando amore o odio, non potendo varcare la soglia della nostra dimora.
Nessuno potrà capire la sensazione di sentirsi un fuori legge se nell’autocertificazione dichiaravi di dover andare al supermercato, ed invece avevi dimenticato di dover andare dal pescivendolo.
Additati di essere andati a correre, quando non eravamo mai stati tanto sportivi, ripresi dai cellulari e buttati sui social e dati in pasto all’indignazione collettiva.
Nessuno potrà capire cosa si provava a vedere le strade chiuse dalle camionette dei militari, a vivere nelle case in centro dai cui balconi si sentiva la televisione a volume basso del vicino, tanto silenzio c’era.
Nessuno potrà capire cosa abbiamo provato nel ritrovarci chiusi nelle nostre gabbie, dovendo cancellare i piani del nostro imminente futuro, dovendo fare i conti con i posti di lavoro che non avevamo più, con i clienti che non pagavano perché non potevano, avendo perso il lavoro.
Nessuno potrà mai capire cosa significava non andare più a scuola, o all’università.
Doversi organizzare con la “didattica online”, doversi laureare nella cucina di casa propria con mamma e papà, e basta.
La tristezza che abbiamo provato nel non poter vedere il nostro partner, dovendoci accontentare di una videochiamata passando dal letto al divano, mentre in sottofondo il “bollettino” diceva che “oggi sono morte ottocentocinquanta persone in Italia”.
Nessuno potrà capire cosa è significato vedere il Papa, al centro di una mai stata così vuota Piazza San Pietro, illuminata da fulmini e bagnata di pioggia, in uno scenario a dir poco apocalittico.
Nessuno potrà mai capire cosa abbiamo vissuto, e cosa, ahimè, stiamo vivendo.
Ma diventeremo un’importante pagina di questa storia.
Citando il grande De Gregori, “la storia siamo noi.”
Beatrice Pennisi