Penso a Nando, Rita, Simona e a quei nipoti che non hanno potuto conoscere il nonno. Provo ad immedesimarmi, ad immaginare, a riflettere ed a comprendere. Infondo non mi viene difficile, perché pure io ho un padre che di mestiere fa il Carabiniere ed a volte non so nemmeno se e quanto torna a casa. Se tuo padre è un Carabiniere, con l’ansia ed il timore impari a conviverci.
Credo che quando arriva una chiamata del genere non sai che cosa dire ai figli, perché il dolore in qualunque caso sarà incolmabile. L’unica cosa che si può fare è onorare la memoria di chi ha servito lo Stato ed in questo Carlo Alberto dalla Chiesa è stato magistrale.
Il generale entrò nell’Arma durante la seconda guerra mondiale e partecipò alla Resistenza. Dopo aver rivestito numerosi incarichi per tutta l’Italia, a Torino divenne protagonista della lotta alle Brigate Rosse negli anni 70’ attraverso la creazione di un reparto di polizia giudiziaria, denominato “nucleo speciale antiterrorismo”, il cui unico scopo era quella della lotta a quel fenomeno che era particolarmente diffuso in quel periodo al centro degli “anni di piombo”. Furono anni difficili per questo corpo delle forze armate, le cui storie sono narrate nel libro “Carabinieri per la Democrazia”, in cui si racconta le tristi vicende di ragazzi e uomini diventati “eroi di una guerra che non avevano dichiarato”. Nonostante le varie difficoltà, Dalla Chiesa ottenne un enorme successo nella sua lotta al terrorismo ed è per questo che nell’aprile del 1982 venne nominato prefetto di Palermo dal Consiglio dei ministri, nella speranza che riuscisse a replicare nei confronti della mafia ciò che aveva compiuto contro le Brigate Rosse. In realtà, al generale mancarono due elementi: mezzi e tempo.
Mezzi perché, nonostante gli fossero stati promessi poteri “straordinari ed eccezionali” per combattere il fenomeno mafioso, egli non ebbe mai il sostegno della Stato che gli era stato promesso e di cui aveva bisogno. Ebbe, d’oltremodo, possibilità di rimarcarlo in diverse interviste.
Tempo perché già a settembre avevano deciso di ucciderlo.
“Qui è morta la speranza dei palermitani onesti”.
Così i palermitani decisero di ricordarlo con un cartello posto in via Carini, dove il 3 settembre 1982, appena un giorno prima, Cosa Nostra eliminava con un attentato mafioso il prefetto di Palermo (nonché Generale dei Carabinieri in congedo), accompagnato dalla moglie Emanuela Setti Carraro e l’agente di scorta Domenico Russo. Per l’omicidio vennero condannati all’ergastolo i vertici di Cosa Nostra mentre nel 2002 vennero condannati gli esecutori materiale dell’omicidio.
Ma la speranza è davvero morta? In realtà no. Perché gli ideali, i sogni, i desideri ed i pensieri delle persone vivono nella memoria dei vivi che ricordano i morti. Basta non dimenticare per far sì che il loro sacrificio non sia vano. Lo insegnano Falcone e Borsellino, d’altronde. E’ doveroso ricordare il sacrificio e l’impegno di Carlo Alberto dalla Chiesa, nell’ottica di una perpetua lotta per far sì che non scorra più sangue nelle strade e per far si che la nostra terra possa gradualmente liberarsi di queste ombre che la attanagliano e la soffocano. Se vogliamo far rinascere la Sicilia, dobbiamo ricordare chi ha lottato per essa. E magari, quando la popolazione ne avrà il coraggio, lottare unita come loro.
Onore a Carlo Alberto dalla Chiesa, vero difensore dello Stato e della Patria.
Giosuè Fichera