Nel 1851, con l’edizione di Rigoletto, Verdi inaugura la cosiddetta Trilogia popolare, che è tale in quanto ancora oggi certi temi che le appartengono sono spesso riconosciuti dalla gente comune. Ma esiste – per così dire – qualche opera di giuntura tra i primi anni e il periodo più maturo? Quest’opera di collegamento – oltre alla Luisa Miller – è probabilmente il Macbeth. Anche in Macbeth, scritta nel 1847 sull’omonima trama shakespeariana, si assiste allo scontro tra oppressori (Macbeth e Lady Macbeth) e oppressi (Macduff, Malcolm e il popolo), tra bene e male. Eppure si avverte un elemento nuovo, che si rivelerà fondamentale per le opere successive: l’introspezione, lo scavo psicologico, la capacità di esprimere in musica il profilo umano del personaggio. Analizzando l’opera in questa prospettiva, si può certamente notare che, sebbene Macbeth sia un despota e abbia scorrettamente assunto il potere, la sua è una malvagità parziale: il vero personaggio cattivo è la moglie, Lady Macbeth, che manipola a suo piacere il marito ed è mossa dalla brama di potere (un topos tipicamente verdiano). Infatti, nell’ultima scena dell’Atto III, dopo che Macbeth ha consultato le streghe, egli è scosso dalle infauste previsioni che loro gli hanno rivelato; ma subito Lady Macbeth lo riprende e – riuscita nell’intento – dice: “Or riconosco il tuo coraggio antico!”. Il grande Verdi, però, nell’Atto IV fa cantare a Macbeth una melodia stranamente dolce, tranquilla (cfr. Pietà, rispetto, amore): il protagonista comprende che i suoi piani stanno ormai fallendo e si rivela all’ascoltatore come una vittima della brama della moglie, a ulteriore prova della propria umanità, seppur nascosta.
Inoltre, ciò che domina la scena è certamente il tema politico; ciò invita a riflettere su quali idee Verdi abbia maturato a riguardo, magari considerando Macbeth a metà tra Nabucco (1842) e Don Carlo (1867 e varie edizioni). Il pubblico può individuare un certo impeto patriottico sia in Nabucco sia in Macbeth, ma con toni diversi, per esempi nei cori: se infatti Va’ pensiero possiede un tono malinconico (che non è del tutto negativo, anzi potrebbe risultare estremamente poetico), Patria oppressa esprime invece sofferenza, tristezza (e difatti Verdi insiste musicalmente su …il tuo dolor). In Don Carlo il patriottismo dei Fiamminghi si avverte senza dubbio, ma non è preso in maniera – per così dire – totalizzante, anzi è velato dagli altri temi (uno fra tutti il soggettivismo di Filippo II). Per capire il rapporto tra malinconia e sofferenza citato prima, pensiamo al polacco Chopin e al russo Čajkovskij: entrambi figli dell’Europa orientale, hanno declinato in maniera diversa questa orientalità (se così può essere definita); Čajkovskij si è abbandonato a melodie intense e romantici cromatismi (cfr. il tema d’amore di Romeo e Giulietta o il famoso motivo de La bella addormentata), mentre Chopin ha evocato perfettamente l’innata sofferenza del popolo polacco (una profondità d’animo che i Polacchi possiedono in modo del tutto originale).
La decisa originalità dell’opera dipende anche dall’impianto orchestrale: per esempio, quando nell’Atto I le streghe appaiono a Macbeth e Banco, Verdi rende l’atmosfera misteriosa con l’uso simultaneo di oboi, clarinetti e fagotti (che esprimono per eccellenza l’idea del grottesco), utilizzando tra gli altri un accordo di settima diminuita (Re-Fa-Sol diesis-Si), assolutamente adatto per ciò che Verdi vuole qui esprimere.
Sebbene la propria grandezza musicale e drammaturgica, il Macbeth non fu eseguito con molta frequenza, cadendo nell’oblio; solo il 7 dicembre 1952 fu riallestito alla Scala di Milano con un cast degno di nota (Mascherini – Callas – Tajo – Penno – De Sabata) e da allora è rappresentato con maggiore frequenza. Tra le edizioni migliori, ricordiamo le due scaligere: quella del 1976 con Piero Cappuccilli (Macbeth), Shirley Verrett (Lady), Placido Domingo (Macduff) e Nicolaj Ghiaurov (Banco), diretta da Claudio Abbado (1933-2014); quella del 1997 con Renato Bruson (Macbeth), Maria Guleghina (Lady), Roberto Alagna (Macduff) e Carlo Colombara (Banco), diretta da Riccardo Muti (1941-viv.). Al Bellini di Catania è stato ultimamente allestito nell’aprile del 2000.
Nino Ingrassia