In un’afosa giornata di metà luglio a Vittoria si svolgono i funerali di una vita finita troppo presto. Un’esistenza legata indissolubilmente dal destino a quella del cugino Simone, di soli 12 anni, che muore drammaticamente in quelle stesse ore durante le quali il popolo del comune si riunisce per ricordare e compiangere il piccolo Alessio D’Antonio, 11 anni. Il dolore è così forte che Alessandro D’Antonio, oltre ad invocare giustizia, afferma solamente di voler abbandonare Vittoria per sempre.
A ragion veduta, una morte del genere è impossibile da accettare. E’ impossibile svegliarsi normalmente e guardare quei gradini sui quali i piccoli sono stati falciati. E’ impossibile andare avanti ignorando l’accaduto, come vorrebbe, omertosamente, una parte della popolazione locale.
Qualche giorno prima, un certo Rosario Greco perdeva il controllo del proprio SUV ed involontariamente falciava i due bambini davanti alla porta di casa. Descrivendolo così, sembrerebbe il classico incidente in cui la sfortuna ha predominato, come se fosse inevitabile. Letto così sembrerebbe un sinistro come tanti altri. Ma non è così.
Rosario Greco guidava a 160 km/h sotto effetto di alcol e cocaina in pieno centro cittadino. Nel SUV, altresì, aveva un manganello telescopico ed una mazza da baseball. Rosario Greco è figlio del “re degli imballaggi” Elio Greco, a cui sono stati sequestrati, nel gennaio 2019, 35 milioni di euro perché legato alla Stidda (un’organizzazione criminale a stampo mafioso) di Vittoria. In macchina con lui ci sono altri 3 soggetti “poco raccomandabili”: tra di essi vi è Angelo Ventura, figlio del capo della “Stidda”. Le notizie specifiche sui soggetti ci sono note grazie al giornalista Paolo Borrometi, che da anni lotta sul territorio per contrastare la mafia. In una recente intervista, Borrometi ha raccontato di come le vecchie fazioni rivali si siano unite per dominare in modo condiviso il territorio e di come egli sia stato vittima della sua attività d’inchiesta: infatti, in virtù della sua lotta, ha una spalla menomata al 30% e l’anno scorso ha rischiato di morire con un’autobomba. Nel suo libro “Un morto ogni tanto” racconta le tristi vicissitudini della sua terra e di come la “Stidda”, il lato più radicale di Cosa Nostra, e la mafia si siano alleate e domino incontrastate in un clima di omertà ed indifferenza. Al netto di queste affermazioni, è possibile affermare che questo “incidente” sia frutto di un senso di onnipotenza di questi soggetti, che credono di poter fare ciò che vogliono in qualsiasi contesto. D’altronde, il comune di Vittoria è stato recentemente sciolto per mafia ed è stato pure sequestrato lo stabile che ospita il Commissariato, perché il 50% appartiene a clan mafiosi.
Quando guidi a 160, in pieno centro nonché sotto effetto di droga ed alcol, significa che ti senti onnipotente. Che gli altri non ti giudicano e che stanno dalla tua parte. E che se ti giudicano, lo fanno senza parlare perché hanno paura. Hanno paura di quel sistema che domina tutto: domina il mercato degli imballaggi, domina la criminalità, controlla perfino il servizio di pompe funebri a cui si è ricorso per il funerale del piccolo Simone. Uno strano paradosso, ma tristemente reale.
Questo evento ha squarciato il velo che aleggiava su Vittoria, comune che presenta il mercato ortofrutticolo più importante del Sud Italia e su cui, inevitabilmente, ricadono interessi economici (e conseguentemente mafiosi). E’ necessario un intervento massiccio dello Stato al fine di offrire un concreto sostegno alle Forze dell’Ordine nella lotta a questo fenomeno ed è altresì fondamentale che si risveglino le coscienze. Che le persone gradualmente si ribellino. E’ necessario che questo coinvolgimento emotivo porti a qualcosa, ad un minimo di cambiamento, a quantomeno alla giustizia. Dalla propria attività Borrometi ne ha tratto solo minacce da parte dei parenti di coloro che erano in auto. Ma il giornalista ha detto che non mollerà, così come non dovrebbe mollare quella parte onesta della popolazione di Vittoria.
Perché questi eventi non possono passare inosservati.
Perché voi due, Alessio e Simone, meritate di non essere dimenticati.
Giosuè Fichera