Vista la marginalità delle rivelazioni di Melchiorre Allegra e Leonardo Vitale, è Tommaso Buscetta, soprannominato il “boss dei due mondi”, ad essere il primo vero ed importante collaboratore di giustizia della storia.
Coloro che vogliono entrare a far parte di una famiglia di Cosa Nostra devono essere sottoposti ad un rito di iniziazione, denominato “punciuta”, in italiano puntura, durante il quale l’iniziato, davanti ai membri della famiglia riuniti, punge l’indice della propria mano per poi spargere il sangue su un santino religioso al quale si darà fuoco. L’aderente dovrà tenere in mano tale icona in fiamme per poi pronunciare il seguente impegno: “Giuro di essere fedele a Cosa Nostra. Possa la mia carne bruciare come questo santino se non manterrò fede al giuramento”. Nell’ambito di esso è obbligatorio mantenere il riserbo assoluto su Cosa Nostra. Infrangere tale promessa significava far diventare sé stessi e la propria famiglia (per riprendere il linguaggio mafioso) dei “morti che camminano”.
Tommaso questo lo sapeva bene. Lui morirà fortunosamente di cancro a 71 anni, mentre a pagarne le conseguenze saranno i parenti, trucidati a distanza di anni perché, come si suol dire, la mafia non “dimentica”. Tommaso lo sapeva così bene che, nella ricostruzione di Marco Bellocchio ne “Il Traditore”, quando Falcone chiederà i nomi, Favino/Buscetta risponderà:” Dottor Falcone, noi dobbiamo decidere solo una cosa. Chi deve morire prima: lei o io?”. Parole che fanno riflettere se pensiamo alla strage di Capaci, avvenimento che ha cominciato a smuovere le coscienze verso una ribellione graduale al sistema mafioso, tutt’ora in fieri.
Il titolo del film sopracitato, tuttavia, è fuorviante: Buscetta non si riterrà mai un “traditore” o un “pentito”, perché quella Cosa Nostra che conosceva non esisteva più. Il “sistema” vedeva una guerra mossa dai Corleonesi contro tutti: per questo, quando si affida alle mani di Falcone in ritorno dal Brasile, parla di qualcosa che per lui è come se non esistesse più. Ed effettivamente, anche grazie al carisma del magistrato antimafia, l’ex boss si convinse che Cosa Nostra aveva perso la sua identità e decise di rivelarne struttura gerarchica, rituali e tutti quegli aspetti che permisero di compiere numerosi blitz e di dar vita al “Maxiprocesso di Palermo”, ritenuto dai più il più grande processo penale mai celebrato al mondo.
E’ stato Buscetta, per primo, a demolire l’idea di una organizzazione invincibile ed inattaccabile. Fu lui a creare una breccia in quella cupola invalicabile che per troppo tempo aveva dominato incontrastata nel territorio siciliano. Ed è anche stato merito di Falcone che ha avuto l’intuito e la lucidità di cogliere l’occasione di captare questa enorme occasione di lanciare un imput decisivo per la lotta alla mafia. Il legame tra i due è così stretto che, dopo la strage di Capaci, Buscetta parlerà ai magistrati di Salvo Lima e di Giulio Andreotti, arrivando a testimoniare nei processi a carico di quest’ultimo per associazione mafiosa e per l’omicidio del giornalista Mino Pecorelli.
L’idea di poter abbattere la mafia è stata resa concretizzabile per opera di uno degli stessi membri dell’organizzazione, con vari risvolti psicologici che sono chiaramente individuabili nella pellicola visualizzabile nei cinema. Ne consiglio la visione: perché, se si vuole combattere un fenomeno, lo si deve conoscere nelle fondamenta. In tutto e per tutto.
Giosuè Fichera