Riflettere sull’Opera tra contemporaneità e crisi dei Teatri
Nei prossimi decenni la diffusione della musica classica sarà probabilmente condizionata da una verità moderna: la quotidiana differenza tra ascoltare e sentire. Se è vero che l’essere umano sta perdendo la capacità di ascolto, cedendo a uno sterile ed effimero relativismo, quella che si prospetta per la musica ragionata (che non è solo classica!) è allora una crisi notevole. Ma è proprio vero che la musica ragionata è fuori moda, che non affascina abbastanza? O forse è il nostro atteggiamento che non è proprio quello adatto? La musica è contemporaneamente lingua, religione, cultura dell’intera Umanità: Va’ pensiero commuove allo stesso modo sia Italiani sia Giapponesi sia Statunitensi. Dire che l’Opera è da vecchi è infatti un errore, perché nel melodramma ci sono passioni, temi e caratteri degni di Shakespeare o Van Gogh, che rimangono anche oggi tra gli artisti più affascinanti. Ogni giorno possiamo incontrare Norma, Rigoletto, Compare Turiddu o Violetta Valéry nelle storie di amici e parenti e non sarebbe strano se riconoscessimo noi stessi in questi personaggi. Un autore come Verdi, un gigante rimasto uomo, un uomo che ha perso gli affetti a lui più cari, attraverso la sua musica dona conforto, comprensione, felicità a quanti lo ascoltino. Per esempio, nella Messa da Requiem, che dedicò a Manzoni nel 1874, Verdi ricostruisce un aldilà che potrebbe ricordare la Commedia dantesca, poiché il Requiem verdiano e il Capolavoro dantesco condividono entrambi un tono iniziale rispettivamente mesto e tragico (la selva oscura in cui si trova Dante) e terminano invece con tranquillità, si potrebbe dire con religiosità. Verdi, dall’alto della sua genialità, inizia la Messa con le note Mi – Do – La, che costituiscono l’accordo di La minore, che evoca la tristezza che si addice a una messa per i morti; Verdi conclude la Messa con un accordo di Do maggiore, che per eccellenza esprime semplicità e tranquillità (che in latino si dice appunto requeim). Una tale genialità è senza tempo, è capace di rapire l’uomo e condurlo in un viaggio metá ta physiká, oltre il sensibile. Ma questo viaggio è possibile solo se l’uomo si veste di empatia, se recupera una sensibilità che oggi sta scomparendo lasciando il posto a un cinismo sempre più diffuso. Si potrebbe comprendere meglio il discorso se pensassimo che, di fronte a spot umanitari o a elemosinanti, alcuni distolgono lo sguardo per evitare di compatire chi gli sta davanti, perché compassione significa condividere il dolore dell’altro, sostenerlo, capirlo. Esiste dunque una linea continua tra la musica e il miglioramento dell’esistenza umana? Sì, perché attraverso la sensibilità l’uomo può togliere il filtro grigio davanti ai propri occhi e apprezzare i colori della vita. La capacità di emozionare non appartiene solo alla musica classica, ma se la disprezziamo a priori ci priviamo di una grande possibilità che la vita ci offre.
Quello sulla musica è un discorso assoluto, slegato da implicazioni politiche o religiose, poiché la musica è in un certo senso autonoma, indipendente da qualsiasi ideologia; ma da questa stessa indipendenza trasmette soluzioni – oseremmo dire – democratiche, accessibili a tutti.
Nel frattempo a Catania le maestranze del Teatro Massimo Bellini vivono un delicato momento d’instabilità, dovuta anche ai problemi di cui sopra. Tra ipotesi e proposte varie, si può solo sperare che la malinconia evocata dal verso verdiano O mia patria sì bella e perduta! (Nabucco, 1842) non si realizzi in un paese come il nostro, la terra delle meraviglie!
Nino Ingrassia